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scienza e fede


Scienza e fede

Scienza e fede camminano su strade distinte, si occupano di realtà su piani diversi. La fede ha come oggetto di riferimento Dio, una realtà che sfugge di sua natura a qualsiasi presa autonoma dell'intelletto umano; la fede conosce quindi il suo oggetto solo nella misura in cui si rivela gratuitamente all'uomo. La scienza invece si occupa delle realtà del mondo fenomenico, un mondo di cui facciamo parte (per questo siamo noi stessi oggetto, oltre che soggetto, della ricerca scientifica). Questo mondo è accessibile alla ricerca umana, ma non può dirci molto poco riguardo a quello che è il significato e il destino ultimo della nostra vita, anche se la ragione può pervenire a una certaContinua conoscenza di Dio anche per via naturale. La scienza poi - a meno di oltrepassare il suo ambito di ricerca - è tale da non poter fondare se stessa (e, a tale scopo, abbisogna della riflessione della filosofia e della teologia). Radicalmente diversi sono anche i metodi di indagine: la scienza è governata dall'ubbidienza alla realtà del mondo, quindi dalla sua esplorazione, dall'elaborazione di ipotesi esplicative sempre in qualche modo provvisorie, e poi dalla verifica (o eventualmente dalla falsificazione) sperimentale. Questa radicale distinzione di oggetto e di metodo dovrebbe precludere al sapere scientifico ogni incursione nel campo della fede, e ai testimoni e maestri della fede qualsiasi presa di posizione di carattere scientifico. La separazione dei campi tra il sapere scientifico e quello religioso non è qualcosa di facile e di garantito una volta per tutte. La fede è sempre chiamata, per un verso, a un compito di vigilanza nei confronti di un sapere tendenzialmente totalitario, come di fatto è quello della scienza; per un altro verso, è pronta ad accogliere della scienza le conquiste che procurano un maggior bene per l'uomo. Il problema si pone anzitutto per gli uomini di scienza; ma, a partire da loro tocca in qualche modo ogni credente, che deve vivere la sua fede in un mondo così profondamente segnato, negli ultimi quattro secoli, dalle vicende scientifiche. Va detto anzitutto che ogni uomo di scienza è chiamato, dalla realtà stessa delle cose, ad assumere una sua personale posizione nei confronti della fede religiosa: questa presa di posizione lo riguarda in quanto uomo, prima che in quanto uomo di scienza. Nella vita concreta delle persone (e gli scienziati non fanno eccezione) una vera neutralità nei confronti della fede è difficile: una qualsiasi forma di neutralità equivarrebbe in realtà a un rifiuto.

Ma lo scienziato non può scaricare una simile presa di posizione univocamente sulla sua professione di scienziato; essa è il prodotto di una sua scelta libera, sia pure di una libertà condizionata dalla sua globale personalità. Gli scienziati seri e onesti, così come i maestri autorevoli della fede, si attengono in genere all'impegno di questa separazione di campi e di reciproca non interferenza.

Ci sono stati e ci sono anche oggi scienziati profondamente credenti (si pensi a Galileo, Faraday, Pasteur, Enrico Levi). E se pure con forme di religiosità anche assai diverse, magari più nebulose, A. S. Eddingyon, J. Jeans ed Einstein. Noti ricercatori come J. G. Mendel (fondatore della genetica), il geologo italiano A. Stoppani, il paleontologo P. Teilhard de Chardin o il fisico atomico J. Polinghorn furono (o sono) membri del clero rispettivamente cattolico e anglicano.

Ma ci sono stati e ci sono tuttora scienziati non credenti: naturalmente non avrebbe senso il fare un confronto numerico tra i rappresentanti delle due posizioni. Anche perché a determinare scelte di vita così diverse non è stata e non è normalmente la scienza in se stessa, bensì ci sono altre istanze di natura più esistenziale, sia pratiche che teoretiche, legate alla formazione, alle esperienze personali e al clima culturale del mondo in cui vivevano o vivono.

Creazionismo - Evoluzionismo

Religione e teoria dell'evoluzione. Sintesi dell'articolo di
J. Ratzinger, Fede nella creazione e teoria dell'evoluzione, (1969).

Il testo è tratto da una lezione di Joseph Ratzinger “Fede nella creazione e teoria dell'evoluzione”, pubblicata in una raccolta di saggi dal titolo 'Wer ist das eigentlich - Gott?', München 1969.

(In italiano: traduzione in "Il Foglio quotidiano", venerdì 23 dicembre 2005 , anno X, n. 303, pag 1-6).

In questo saggio, che risale al 1969, l’allora professor Joseph Ratzinger affronta il rapporto tra il concetto di creazione e quello di evoluzione. È un tema recentemente è tornato di attualità per una serie diContinua polemiche sul darwinismo. Ma soprattutto tocca un argomento delicato, che rischia di riaprire polemiche, ormai ritenute superate, fra fede e scienza.

Il consueto rigore e la complessità degli argomenti rende alcune parti di questo saggio di non facile lettura. Per questo può essere utile una breve scheda che indica le linee guida del pensiero dell’Autore.

1- La fede non coincide con alcuna “immagine” del mondo
La premessa fondamentale fatta da Ratzinger è che la fede non coincide con nessuna “immagine” del mondo, anche se ne serve: così è avvenuto per le immagini prescentifiche (il racconto del Genesi, per esempio), e più recentemente di quelle scientifiche. Il cambiamento di una immagine non costituisce quindi, di per sé, una crisi della fede; ma si pone il problema della relazione di questa immagine con la fede stessa.

Nell’affrontare il tema di come si possa conciliare il concetto di evoluzione con quello di creazione, Ratzinger, si rifà all’analogia della rivoluzione copernicana, che ha operato un radicale cambiamento dell’immagine del cosmo..

Il tema dell’evoluzione si rivela ancora più delicato, in quanto coinvolge una sequenza temporale, fornendo un’immagine “naturalistica” della storia del mondo e dello sviluppo della vita sulla terra fino alla comparsa dell’uomo, che sembra negare la creazione.

2) Creazione e creazionismo
Il concetto di creazione infatti era legato a una particolare immagine dell’origine dei viventi: il creazionismo, secondo cui Dio, come un bravo artigiano del cosmo, aveva creato contemporaneamente tutti gli esseri viventi. L’evoluzione distrugge questa immagine, ma la fede nella creazione non è strettamente legata ad essa, può benissimo convivere con il concetto di evoluzione, come l’Autore spiega nell’ultima parte del saggio.

3) Differenza fra creazione ed evoluzione
L’affermazione fondamentale è la seguente:
“La fede nella creazione indaga sul perché dell’essere in sé; il suo problema è perché esiste qualcosa anziché niente. L’idea dello sviluppo[evoluzione] invece si chiede perché ci sono proprio queste cose e non altre.”
La prospettiva scientifica è quindi diversa dalla prospettiva di fede: “teoria dell’evoluzione e fede nella creazione appartengono qui, rispetto al loro orientamento di fondo, a due mondi spirituali assolutamente diversi, e in maniera diretta non si toccano affatto”.

Si apre però il problema della relazione fra le due forme di pensiero, che è estremamente delicata.

4) La teoria dell’evoluzione non può “giudicare” la fede nella creazione
Da una parte la teoria dell’evoluzione non può incorporare al suo interno la fede nella creazione: l’idea di creazione è inutilizzabile per la scienza: non può stare fra i materiali positivi alla cui elaborazione essa è vincolata per metodo.

D’altro canto, a meno di rinchiudersi in uno scientismo radicale, essa non può vietare per principio alcuna domanda sull’uomo che si rivolga alla questione dell’essere come tale, cioè una domanda ultima, la cui risposta non sia riducibile nell’ambito di ciò che è documentabile scientificamente.

5) La fede nella creazione può assumere in sé anche l’idea di evoluzione.

La domanda fondamentale che si pone Ratzinger è se anche l’immagine evolutiva del mondo possa essere compresa come espressione della creazione, come lo erano le immagini precedenti. Se consideriamo la creazione non come un’opera di artigiano ma quella di un pensiero creatore, ecco che allora lo sviluppo del mondo ha un senso, come attuazione progressiva del pensiero di Dio. E’ questa la posizione di fede: riconoscere nell’evoluzione, che va comunque studiata con il metodo scientifico, lo svelarsi di un progetto che sta all’inizio.

“La teoria dell’evoluzione non annulla la fede - così conclude Ratzinger - e nemmeno la conferma. Ma la sfida a comprendere meglio se stessa e ad aiutare in questo modo l’uomo a capire sé e a diventare sempre più quello che deve essere: l’essere che può dire tu a Dio per l’eternità”.

(da: culturacattolica.it)

Gli "Ibridi", le "chimere", e la mitologia. Un omaggio a Giambattista Vico.
SCIENZA E FEDE VATICANA: LA CATTEDRA DELL’EMBRIONE. DOPO LE TRACCE DEL DNA, TROVATE LE IMPRONTE DIGITALI DI DIO!!! IL DISEGNO "INTELLIGENTE" DEGLI SCIENZIATI "CATTOLICI" E LA LORO VECCHIA E "DIABOLICA" ALLEANZA. Una nota del prof. Federico La Sala su alcuni resoconti di dibattiti in corso sulla bioetica, sull’evoluzionismo, e sul creazionismo.
A seguire, i "documenti" di riferimento
martedì 6 novembre 2007.


"Duemila anni fa, un ovulo fu miracolosamente fecondato dall’azione soprannaturale di Dio, da questa meravigliosa unione risultò uno zigote con un patrimonio cromosomico proprio. Però in quello zigote stava il Verbo di Dio"(dichiarazione del Cardinale Dario Castrillon Hoyos alla XV conferenza internazionale del Pontificio consiglio, La Repubblica del 17 novembre 2000, p. 35)

IN NOME DELL’EMBRIONE, UNA VECCHIA E DIABOLICA ALLEANZA.

Una nota di Federico La Sala *

Avrei voluto con mio honore poter lasciar questo capitolo, accioche non diventassero le Donne più superbe di quel, che sono, sapendo, che elleno hanno anchora i testicoli, come gli uomini; e che non solo sopportano il travaglio di nutrire la creatura dentro suoi corpi, come si mantiene qual si voglia altro seme nella terra, ma che anche vi pongono la sua parte, e non manco fertile, che quella degli uomini, poi che non mancano loro le membra, nelle quali si fa; pure sforzato dall’historia medesima non ho potuto far altro. Dico adunque che le Donne non meno hanno testicoli, che gli huomini, benche non si veggiano per esser posti dentro del corpo [...]: così inizia il cap.15 dell’Anatomia di Giovanni Valverde, stampata a Roma nel 1560, intitolato “De Testicoli delle donne” (p. 91).

Dopo queste timide e tuttavia coraggiose ammissioni, ci vorranno altri secoli di ricerche e di lotte: “[...] fino al 1906, data in cui l’insegnamento adotta la tesi della fecondazione dell’ovulo con un solo spermatozoo e della collaborazione di entrambi i sessi alla riproduzione e la Facoltà di Parigi proclama questa verità ex cathedra, i medici si dividevano ancora in due partiti, quelli che credevano, come Claude Bernard, che solo la donna detenesse il principio della vita, proprio come i nostri avi delle società prepatriarcali (teoria ovista), e quelli che ritenevano [...] che l’uomo emettesse con l’eiaculazione un minuscolo omuncolo perfettamente formato che il ventre della donna accoglieva, nutriva e sviluppava come l’humus fa crescere il seme”(Françoise D’Eaubonne).

Dopo e nonostante questo - l’acquisizione che i soggetti sono due e che tutto avrebbe dovuto essere ripensato, si continua come prima e peggio di prima.

Anzi, oggi, all’inizio del terzo millennio dopo Cristo, nello scompaginamento della procreazione, favorito dalle biotecnologie, corriamo il rischio di ricadere nel pieno di una nuova preistoria: “l’esistenza autonoma dell’embrione, indipendente dall’uomo e dalla donna che hanno messo a disposizione i gameti e dalla donna che può portarne a termine lo sviluppo” spinge lo Stato (con la Chiesa Cattolico-romana - e il Mercato, in una vecchia e diabolica alleanza) ad avanzare “la pretesa di padre surrogato che si garantisce il controllo sui figli a venire, non senza contraddizioni [...].

L’estrazione chirurgica degli ovociti dal corpo femminile evoca la fuoriuscita del seme dal corpo maschile producendo una mimesi fra i due sessi che irrompe sulla scena pubblica -e nella coscienza privata- ancora una volta quando arriva in tribunale: è il caso di una donna che contende al marito, da cui si sta separando, gli embrioni in attesa di essere trasferiti in utero. Ma se la separazione e la conservazione di ovociti e spermatozoi permette l’esistenza separata dei "mezzi di riproduzione" e la loro conduzione sotto l’autorità dello stato, seppure con il consenso degli interessati, a noi donne e uomini spetta l’assunzione di una nuova, perché sconosciuta, responsabilità.

Abbiamo collettivamente riconosciuto, e resa possibile laddove faticava a emergere, la responsabilità e la libertà femminile sul nostro corpo anche quando racchiude la possibilità di un’altra vita, la responsabilità verso altri e altre (e non solo figli); come essere responsabili di un ovocita sia pure estratto a fini riproduttivi, di un embrione concepito altrove?

Forse prendendo la parola, così che argomenti che sembrano interessare solo esperti da un lato e coppie infertili dall’altro entrino nella coscienza collettiva e assumano quel senso che ora fatichiamo a trovare: se le donne e gli uomini e le coppie che si sentono responsabili degli embrioni residui dichiarassero quale destino pare loro preferibile, se un’improbabile adozione, la distruzione o la donazione alla ricerca scientifica, con la clausola che in nessun modo siano scambiati per denaro o ne derivi un profitto, la vita tornerebbe rivendicata alle relazioni umane piuttosto che al controllo delle leggi, ne avrebbe slancio la presa di coscienza dei vincoli che le tecnologie riproduttive impongono e più consenso la difesa della "libertà" di generare" (Maddalena Gasparini, Vice-coordinatore del Gruppo di Studio di Bioetica e Cure Palliative della Società Italiana di Neurologia, 2002: www.ecn.org; sul tema, inoltre, si cfr. anche Dietro al referendum, una riflessione sulla libertà delle donne: www.universitadelledonne.it).

E, andando oltre, finalmente prendere atto - contro tutte le tentazioni biologistiche e nazistoidi - che due esseri umani occorrono per creare un altro essere umano (Feuerbach) - non solo sul piano fisico (“in terra”), ma anche e soprattutto sul piano spirituale (“in cielo”), e - cosa ancora più importante e decisiva - che il famoso soggetto, cioè ogni essere umano, è due in uno - figlio e figlia della Relazione di Due IO.... e che, proprio per questo, è capace - a sua volta (uscito dallo stato di minorità e giunto, al di là dell’Io penso, all’Io sono...) - di mettersi sulla strada del dialogo con altre o più persone e dare vita alla stessa (e tuttavia sempre nuova) Relazione, generatrice di nuove parole, di nuove azioni, e di nuovi esseri umani.....

Federico La Sala

* www.ildialogo.org/filosofia 13.02.2005.

Sul tema, sempre del prof. Federico La Sala, si cfr.:

IL CATTOLICESIMO-ROMANO E I SUOI SCHELETRI NELL’ARMADIO...

LA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO ... DEI "DUE SOLI". IPOTESI DI RILETTURA DELLA "DIVINA COMMEDIA".

La bioetica e le forche caudine dei laicisti

Un dibattito a Torino fra Boncinelli, Mori, Flamigni e Pessina. Il filosofo cattolico: certa scienza svaluta l’idea di persona

Dal Nostro Inviato A Torino Edoardo Castagna (Avvenire, 21.09.2007)

Un palco decisamente sbilanciato sul versante laicista, quello allestito da Torino Spiritualità per discutere di «Cellule staminali e procreazione assistita: un nodo biologico e politico». L’apertura, ieri nella cornice di Palazzo Carignano, sembrava promettente: cercare di capirsi sulle parole da usare, per dar vita a un confronto equilibrato. Ma, non appena Adriano Pessina, direttore del Centro di Bioetica dell’Università Cattolica, fa notare che il problema etico non verte certo sulle definizioni, i meccanismi d’attacco laicisti scattano. Mentre Pessina rileva che «il problema etico sorge nel momento in cui si dà una valutazione dei beni in gioco e della loro gerarchia, in assenza di una demarcazione evidente tra il bene assoluto e il male assoluto», Maurizio Mori, docente di Bioetica a Torino, sbotta: «Da un punto di vista etico, o la fecondazione è lecita o non lo è. Chi l’accetta, la deve accettare con tutte le sue varianti, omologa ed eterologa. Oggi per la Chiesa la battaglia contro la "tecnoscienza" ha preso il posto di quella contro l’astronomia di Galileo». Carlo Flamigni, docente di Ostetricia a Bologna, chiama fuori la scienza dalla decisione sul momento dell’inizio della vita personale - «esistono molte posizioni, tutte accettabili perché tutte razionali» -, per poi virare subito nel ritornello dell’attacco alla Chiesa, rea - secondo il membro del Comitato nazionale di Bioetica - d’incoerenza sulle scelte riguardo il sorgere dell’esistenza individuale, arrivando a sostenere che «all’interno della Chiesa ho contato nove posizioni diverse». Quali siano e dove le abbia scovate, tralascia di specificarlo, preoccupato com’è dall’esigenza di sostenere che «su queste cose la verità non esiste, e di certo non può definirla la biologia». Un punto, questo, sul quale Edoardo Boncinelli, docente di Biologia all’Università San Raffaele, concorda prontamente: «La scienza non può rispondere alle domande su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. A farlo devono essere i cittadini». Ma a Mori nemmeno la posizione relativista di Flamigni sta bene: «No, anche se non esiste una tesi unica, noi possiamo decidere». E, incalzato su quale sia secondo lui il momento dell’inizio dell’esistenza umana, spara: «Quando le strutture cerebrali iniziano a funzionare; in altre parole, quando inizia il pensiero». Con buona pace di malati e minorati di mente: ma qui è il solito gioco laicista, che anche di queste persone "inutili" si sbarazzerebbe senza troppe esitazioni. Ribatte Pessina: «Se oggi non ci fosse una grande spinta pratica, e anche utilitarista, su se e come usare gli embrioni, su che cosa farsene dei corpi senza più pensiero, non ci sarebbe tutto questo dibattito». «Verissimo», conferma Mori. Che però coglie l’occasione per dar nuovo fuoco alle artiglierie, e farsi paladino anche degli esperimenti sugli embrioni "chimera": «Il no della Chiesa di oggi è identico a quello degli oppositori delle vaccinazioni di inizio Ottocento, quando si diceva che erano degradanti perché mescolavano linfa umana e linfa di vacca». E lancia un mezzo manifesto della bioetica laicista: «Suo dovere è scovare i nostri tabù, metterli in piazza e farci cambiare idea». Qualcuno prova a lanciare la claque, senza successo. Boncinelli intanto smentisce la tesi secondo cui in Italia le leggi che tutelano gli embrioni dalle manipolazioni ai fini della ricerca si traducano in un ritardo del nostro Paese in campo scientifico: «Anzi: in certi settori, come la fecondazione o la ricerca genetica, siamo all’avanguardia. Il problema della ricerca in Italia è ben più ampio, ed è di risorse». E puntualizza anche che «quei pochi embrioni attualmente congelati non fornirebbero nessun aiuto all’indagine scientifica. Comunque, il problema resta etico, la scienza qui non ha nulla da dire». Ancora una volta, Mori rilancia come un "dovere" la sperimentazione a tutto campo, e rimesta su quelle che definisce le «contraddizioni» della Chiesa: «Nel 1277 sosteneva che non c’era aborto prima che venisse infusa l’anima». Ribatte Pessina: «Ogni epoca ha definito intuitivamente che cosa sia la persona, in base alle proprie conoscenze. Oggi vediamo molto più in là di un tempo, e l’Occidente ha sempre camminato nella direzione di un’estensione della nozione di persona. Oggi certa scienza e certa filosofia vorrebbero invertire la rotta».

DIALOGHI

I nodi insoluti dell’evoluzione: a confronto ieri a Torino il paleoantropologo Fiorenzo Facchini e il genetista Guido Barbujani

Da scimmia a uomo: l’enigma del «salto»

Lo scienziato cattolico: «Tra l’animale e l’uomo c’è un salto ontologico, uno scarto dove Dio emerge come concausa» Dal Nostro Inviato A Torino Edoardo Castagna (Avvenire, 22.09.2007)

Basta poco, basta mettere da parte per un attimo gli steccati ideologici, per riportare il confronto tra credenti e non credenti nei proficui binari di un dialogo pacato e costruttivo. Ne hanno dato un ottimo esempio ieri, a Torino Spiritualità, l’antropologo e sacerdote Fiorenzo Facchini e il genetista dichiaratamente non religioso Guido Barbujani, che al Teatro Gobetti si sono confrontati su «Evoluzionismo, darwinismo e Intelligent Design: storie di prospettive e contrasti».

Un dialogo che ha fatto emergere le differenze che permangono tra la prospettiva religiosa e quella che non guarda al trascendente, ma senza degenerare in battaglie campali condite dalle fin troppo facili accuse di oscurantismo che, trito ritornello, i laicisti più scaldati non si stancano di lanciare contro chiunque non si rassegni a consegnare, come loro, l’uomo e il mondo al dominio del cieco caso.

Facchini ha subito puntualizzato la distanza tra l’evoluzione, «fatto appurato anche se dalle modalità non ancora del tutto chiarite», e l’evoluzionismo, «dottrina costruita sull’evoluzione e che la inserisce in una visione dell’uomo e del mondo che non è più derivata esclusivamente da aspetti scientifici». Allo stesso modo, ha puntualizzato, «un conto è la creazione, evento che si raggiunge non con la scienza, ma con la filosofia; e un conto è il creazionismo, una certa visione della creazione che può sì essere, quale la sostengo io, aperta all’evoluzione, ma può anche chiudersi a riccio, come certe posizioni americane, o quasi, come nel caso dell’Intelligent Design, sempre di matrice statunitense. Alla fine, anche questa posizione si riporta a un creazionismo puro».

Puntualizzazioni, queste, che Barbujani sottoscrive senza remore, aggiungendo anzi che «l’evoluzionismo è figlio di Darwin, ma non è Darwin che, per esempio, era privo degli strumenti genetici che oggi abbiamo a disposizione. Analogamente, l’Intelligent Design oggi proposto negli Usa è una versione aggiornata del vecc hio creazionismo, che si puntella su quegli aspetti ancora oscuri del mondo naturale sostenendo che la scienza non potrà mai arrivare a spiegarli. E che quindi rimandano a un Progettista intelligente».

Una posizione, questa, della quale lo stesso Facchini sottolinea la pericolosità, «sia filosoficamente sia religiosamente. Perché se si riduce Dio a un ruolo di esplicazione degli attuali limiti della scienza, un domani, quando l’indagine umana avrà colmato qualche lacuna, il divino verrebbe relegato ancor più ai margini. Qui si confondono i piani, mentre le lacune scientifiche non si colmano con la religione. Non soltanto l’Intelligent Design non è scienza, ma rende anche un cattivo servizio alla religione. Tutto questo, fermo restando che è più che legittimo affermare che Dio ha un progetto sulla creazione. Semplicemente, si tratta di un altro piano».

Che quella sull’Intelligent Design sia più una questione politica che scientifica, lo conferma il genetista dell’Università di Ferrara, lamentando il pessimo clima che il dibattito, «malamente importato in Europa», ha generato: «I rapporti tra evoluzione e cattolicesimo, anzi, sono sempre stati ottimi, da Teilhard de Chardin in giù. Ricordiamo la famosa lettera di Giovanni Paolo II alla Pontificia Accademia delle Scienze, dove assumeva l’evoluzione come un dato di fatto. Poi, accanto a questo, ci sono le domande sul bene, sul male, sulla finalità: qui la scienza non ha nulla da dire, è il campo della filosofia e della teologia». È a questo punto che Facchini rilancia la sua proposta di concentrare la riflessione non sul pericoloso e dubbio concetto di «disegno intelligente», ma su quello più ampio di «progetto superiore» [proposto per la prima volta su Avvenire del 2 agosto scorso, ndr]: «Un progetto che non si limita alla natura, ma che abbraccia l’intera progettualità divina sul creato».

Un’apertura al trascendente sulla quale Barbujani, scienziato non religioso, ammette lealmente di non aver nulla da dire, riconoscendo anzi che «sono domande profondamente insite nella nostra mente». Facchini procede a sviluppare la sua argomentazione, ricordando come «tra l’uomo e l’animale c’è un salto ontologico: noi non possiamo derivare nella nostra totalità, con la nostra spiritualità, dalle grandi scimmie. Qui c’è uno scarto, qui emerge Dio come concausa dell’evento-uomo. C’è una discontinuità irriducibile, ed è la cultura. Quando Darwin negò un simile salto, parlando piuttosto di semplice differenza di grado, sconfinò nell’ambito della filosofia». Barbujani conferma che «la scienza non ha elementi per testare eventuali salti ontologici», ma obietta: «Le differenze tra uomo e animale paiono sempre meno evidenti, abbiamo evidenze di "cultura" anche tra le scimmie superiori. È difficile tracciare una linea netta tra noi e gli altri animali, anche se non ci sono dubbi sulla disparità quantitativa tra la nostra cultura e la loro».

Il problema però, ha ribattuto Facchini, è intendersi su che cosa si debba intendere per "cultura": «Oggi parte degli scienziati tende a estendere questo concetto, includendoci tutto ciò che non è geneticamente determinato: così facendo, la si può rintracciare anche tra gli animali. Ma questa definizione di cultura umana non coglie quanto c’è di specifico nell’uomo: la capacità di progettare, e la capacità di elaborare simboli». Eccole, le differenze di prospettiva tra una scienza ispirata al trascendente e una che non lo è. Nette e marcate. Ma che non hanno nessun bisogno di aggredire per affermarsi.

Owen Gingerich, astronomo dell’Università di Harvard, spiega perché la visione di un mondo frutto del caso ha in sé qualcosa di assurdo. Sulla scia di Keplero, Galileo, Newton e altri teorici del cosmo

Impronte digitali di Dio nel cosmo

«Sarebbe bastata una minima discrepanza in uno solo di questi parametri e avremmo avuto un universo totalmente inadatto alla vita e all’uomo»

di Luigi Dell’Aglio (Avvenire, 21.09.2007)

Quando sente parlare i suoi colleghi atei, prova delusione Owen Gingerich, famoso astronomo di Harvard. Fra loro, in particolare, gli risulta disarmante e deprimente Steven Weinberg, con lo slogan: «Più l’universo diventa comprensibile, più appare inutile». Gingerich obietta che questa mancanza di fede è del tutto immotivata. E cita la grande scienza da Giovanni Keplero (1571-1630) a oggi. Keplero, concludendo le sue Harmonices Mundi, scriveva: «Non c’è in me ambizione più grande né desiderio più ardente dello scoprire se posso trovare Dio anche dentro di me; questo Dio che, quando osservo l’universo, riesco quasi a toccare con mano». Profondo come «teologo per passione» non meno che come scienziato, Gingerich, che a Harvard ha insegnato a lungo astronomia e storia della scienza, scende di nuovo in campo con il saggio Cercando Dio nell’Universo (editore Lindau, 14 euro), in questi giorni in libreria. (Molto significativo è il titolo originale del libro: God’s Universe, l’Universo di Dio). E fa capire, da scienziato, le ragioni per cui ritiene che il cosmo sia frutto non di un caso (incomprensibilmente fortunato), ma di un disegno soprannaturale. Quanto ai colleghi atei, sottolinea, sono ovviamente liberi di pensarla come vogliono ma non dovrebbero servirsi della loro posizione «e presentarsi come portavoce della scienza, per propugnare la causa dell’ateismo». «Contro questo atteggiamento» aggiunge «è necessario e legittimo opporre resistenza».

Come si spiegano l’Universo e la vita? Prima di tutto c’è il fine tuning, il bilanciamento dei parametri della fisica. L’astronomo inglese Sir Martin Rees ha accertato che sei sono i numeri-chiave. «Sarebbe bastata una minima discrepanza in uno solo di questi parametri e avremmo avuto un universo totalmente inadatto alla vita» osserva Gingerich. Se l’energia del Big Bang fosse stata minore, il cosmo avrebbe presto avuto termine collassando su se stesso. Se fosse stata maggiore, la forza di gravità si sarebbe ridotta rapidamente. In entrambi i casi, l’universo non avrebbe prodotto gli elementi necessari alla vita. «Se un dipnoo preistorico, strisciando sulla riva, fosse andato a sinistra invece che a destra, l’evoluzione dei vertebrati avrebbe preso un’altra direzione». Quando dalla fisica si passa alla biologia, le «coincidenze» sono ancora più impressionanti, rileva. Il Dna può formarsi per caso? E una proteina, fatta di 2000 atomi? Gingerich dà la parola a Freeman Dyson: «Questo è un universo che doveva già sapere che saremmo arrivati». (Non manca un’apertura a ET. «Nel 1277, il vescovo di Parigi dichiarò "eretico" il limitare alla sola Terra la potenza creatrice di Dio»).

Il libro racconta come i grandi astronomi abbiano posto in cima ai loro pensieri due obiettivi - la conoscenza e Dio - spesso riunendoli in uno. Tipico il caso di Niccolò Copernico (1473-1543), il padre della teoria eliocentrica. Per inciso, Owen Gingerich spiega che il sistema copernicano, poi abbracciato da Galileo Galilei (1564-1642), sarebbe stato provato soltanto dalla legge di gravitazione universale di Isaac Newton (1642-1727) e dal pendolo che nel 1851 Leon Foucault fece oscillare nel Panthéon di Parigi. All’epoca del duro scontro tra geocentristi ed eliocentristi, i primi chiedevano ai secondi la «prova apodittica» del moto terrestre. E astronomi come il danese Tycho Brahe (1546-1601) si domandavano: «Ammettiamo che la Terra ruoti a questa vertiginosa velocità. Ma allora, come mai, quando lanciamo in alto un sasso, questo ricade nello stesso punto, e non più in là? E come fa la Terra - nel suo moto attorno al Sole - a trascinarsi appresso Luna?» Newton avrebbe chiarito tutto con la forza di gravità, ma quasi due secoli dopo. La prova convincente non l’aveva scovata neanche Copernico, che nel 1536 aveva ultimato la sua opera fondamentale, De revolutionibus orbium coelestium libri VI. La Terra che si muove attorno al Sole era ipotesi destinata a urtare contro la tradizione scientifica di matrice aristotelica e contro l’interpretazione letterale delle Scritture (anche se già Sant’Agostino aveva consigliato di tener conto del valore simbolico del testo biblico). Ma Copernico non aveva alcuna intenzione di contestare la metafisica e scontrarsi con le autorità religiose. Il grande scienziato polacco, fa notare Gingerich, era semplicemente convinto che il sistema eliocentrico, comportando una più armoniosa struttura del cosmo, una coerenza e un’eleganza maggiore, fosse più adatto a rispecchiare la grandezza di Dio. «Troviamo in questo ordinamento un’ammirevole simmetria del mondo, quale altrimenti non è possibile incontrare» scrisse.

Fra gli astronomi animati dalla fede, Gingerich mette se stesso. «Sono persuaso della presenza di un Creatore, dotato di un’intelligenza superiore. E non mi sento in contraddizione con la mia qualità di scienziato». Per l’astronomia ha un amore esuberante; da bambino aveva costruito, con il padre, un telescopio rudimentale. Gingerich crede nella «creatio continua». E trova conferma nei fossili di creature estinte milioni di anni fa. «Non suggeriscono l’idea di un universo progettato per essere ’istantaneamente perfetto». «Inoltre, se l’universo fosse predeterminato anche nei minimi particolari, l’uomo perderebbe la libertà e la possibilità di scelta. Dio può realizzarsi in molti modi, non solo per mezzo di un progetto di cui fin dall’inizio è previsto ogni dettaglio».

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